L’olio di palma viene ricavato dal frutto di alcune varietà di palma tropicale. Il frutto è composto dalla polpa, da cui si estrae olio di palma, e dal nocciolo, da cui si ottiene olio di palmisto. È importante tenere ben distinti i due oli: il palmisto contiene quasi il doppio di grassi saturi – in misura simile all’olio di cocco – ed è quindi peggiore dal punto di vista nutrizionale rispetto al primo. Si è già abbondantemente discusso sulla sua eventuale nocività per la salute e sulla sua sostituzione con altri grassi o con altre preparazioni, di talché non vorrei annoiare i lettori ribadendo concetti già esaustivamente trattati. A riguardo, l’unica raccomandazione in termini di salute offerta dagli esperti è quella di non abusarne, per evitare l’accumulo di acidi grassi saturi contenuti al suo interno, associati a problemi cardiovascolari. Dal punto di vista ambientale, invece, il discorso è semplice: lo spropositato aumento nella richiesta di quest’olio negli ultimi vent’anni ha fatto sì che i maggiori paesi produttori (Malesia e Indonesia), abbiano sfruttato la situazione incrementando la coltivazione della palma da olio. Per consentire ciò, sono stati disboscati vasti ettari di foresta tropicale, alterandone l’ecosistema. Questo è certamente un problema a cui è necessario trovare una soluzione, purtroppo però sono meccanismi che storicamente si ripetono, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, che, attratti da un’enorme fonte di ricchezza, cercano il miglior modo per sfruttarla. Ad ogni modo, recentemente, sono nate numerose associazioni di promozione e incentivo ad uno sviluppo sostenibile delle coltivazioni di palma da olio, che funzionano mediante rilascio di certificati di qualità al sussistere di determinati requisiti. Questo rimane comunque un tema complesso, dove “ognuno tira acqua al proprio mulino” e l’auspicio è quello di trovare nel tempo una soluzione accolta da tutti gli interessi in gioco. Ciò su cui vorrei soffermarmi oggi è la ragione per la quale nel campo della tecnologia alimentare si è deciso di puntare sull’olio di palma. Il costo di produzione? È sicuramente un motivo valido, ma non è tutto. Il tecnologo alimentare deve considerare alcuni fattori nella scelta degli elementi da utilizzare: il costo, ma anche il gusto, il valore nutrizionale e la shelf-life, ossia la capacità di un prodotto di mantenere intatte le proprie qualità nel periodo che intercorre tra la produzione e la vendita. Per i prodotti da forno, i grassi sono fondamentali per conferire maggior appetibilità e migliorare la consistenza; inoltre, i lipidi “intrappolano” gli aromi, favorendo il rilascio delle sostanze aromatiche in maniera più gradevole. In termini di shelf-life è importante che i grassi posseggano proprietà chimiche capaci di resistere in maniera ottimale a luce e calore, ed è fondamentale che non contengano sostanze facilmente alterabili nel corso della produzione. È per queste ragioni che si preferiscono i grassi con percentuali di saturi maggiori: migliorano la consistenza, resistono maggiormente all’ossidazione e prolungano la durata della qualità del prodotto. Premesso ciò, quand’è che l’olio di palma ha iniziato la sua ascesa? Quando si è deciso – giustamente – di trovare un sostituto alla margarina, poiché caratterizzata dalla presenza di acidi grassi trans molto dannosi per la salute dell’uomo. In tale circostanza l’olio di palma rappresentava un ottimo sostituto in termini di costo, composizione lipidica e valori nutrizionali rispetto ad altri oli in commercio come, a titolo esemplificativo, l’olio di cocco, di colza o di soia.Prodotti senza olio di palma Dopo il boicottaggio che si è verificato nei confronti dei prodotti contenenti olio di palma, molti produttori hanno deciso di assecondare le richieste dei consumatori e di produrre alimenti palm oil free. L’effetto che ne è derivato è stato quello di migliorare le qualità nutrizionali – in termini di riduzione dei grassi saturi – dei prodotti da forno industriali il cui consumo di olio di palma era già poco essenziale nel processo produttivo tramite ricorso all’olio di girasole; in altri casi invece persiste il problema di trovare un valido sostituto; in particolare, quando la presenza di un grasso solido è importante per la preparazione di un determinato prodotto, in etichetta si leggono oli vegetali, olio di cocco o, semplicemente, burro; tutti prodotti che non è possibile definire migliori dell’olio di palma, e i valori nutrizionali lo confermano.Come comportarsi a riguardo La maggior parte dei prodotti che contenevano olio di palma, oggi sostituito da altri oli, sono merendine, creme spalmabili, crackers, pasta sfoglia e perfino gelati. È quindi importante limitare il consumo di prodotti che contengono olio di palma? No, è importante limitare il consumo di questi prodotti a prescindere dalla presenza o meno di quest’olio. Dal punto di vista ambientale, bisogna essere equilibrati nell’indignarsi. È correttissimo cercare di orientare i produttori ad una filiera più sostenibile possibile, dall’altro lato a volte le conoscenze in tema di sostenibilità non sono così profonde da consentire di trovare una soluzione in tempi brevi. Spesso, inoltre, non è semplice definire a priori le conseguenze di determinate scelte produttive, che talvolta potrebbero tradursi in produzioni più dannose di quelle attualmente praticate.
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