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Indice Glicemico: un po’ di chiarezza -Rubrica a cura di Stefano Fuggetta – Scienze della Nutrizione


GIOVEDì 26 DICEMBRE 2024









Indice glicemico: un po’ di chiarezza

A parere di chi scrive, affrontare oggi l’argomento “indice glicemico” è anacronistico, considerate le conoscenze e gli studi scientifici consolidati a riguardo. Tuttavia, da un po’ di tempo il tema è tornato in auge grazie (rectius, a causa) all’emersione di nuove diete ideate da alcuni esperti in nutrizione.

Alla base di queste diete c’è la teoria secondo cui responsabili dell’aumento di peso e del peggioramento del metabolismo siano gli alti livelli di insulina, causati da repentini picchi di glicemia a seguito dell’assunzione di alimenti ad alto indice glicemico.

Ma è realmente così? No, ma è doveroso svolgere alcune premesse e considerazioni per portare a ricredere anche i più scettici.

L’indice glicemico non è il carico glicemico

Per prima cosa è fondamentale distinguere l’indice glicemico dal carico glicemico.

L’indice glicemico misura la variazione della glicemia in seguito all’assunzione di 50 grammi di carboidrati presenti in un alimento. In parole povere, esso indica la velocità che impiegano gli zuccheri di un alimento a raggiungere il flusso ematico. Questo parametro è facilmente utilizzabile in presenza di zuccheri semplici, come il glucosio, il fruttosio e il saccarosio. Al contrario, ingerendo cibi complessi, per sfruttare a pieno il valore informativo dello stesso sarebbe necessario separare gli zuccheri dal resto dei componenti.

L’indice glicemico non è un valore facilmente applicabile al caso concreto, per questa ragione è stato introdotto il carico glicemico, un parametro quali/quantitativo che considera non solo il tipo di zucchero presente in un alimento ma anche l’effettiva quantità contenuta.

Per fare un esempio, le carote bollite hanno un indice glicemico più alto della pasta, ma un carico glicemico inferiore, perché costituite prevalentemente da acqua (su 100g di carote bollite mediamente 3g sono zuccheri), mentre la pasta è costituita per la maggior parte da amido, e quindi da zuccheri.

Nonostante il carico glicemico sia il metodo migliore in termini di misurazione della capacità di aumentare la glicemia, anch’esso non è un parametro utile per valutare l’effetto di un cibo sull’aumento di peso.

Inoltre, quando nel 1981 fu introdotto per la prima volta il concetto di indice glicemico da parte del prof. David J. Jenkins (dipartimento di scienze nutrizionali all’Università di Toronto), la sua funzione era destinata a migliorare il controllo dei pazienti diabetici. I diabetici non hanno infatti un buon rapporto con i carboidrati. Il loro pancreas non funziona come dovrebbe, pertanto, o non producono insulina oppure la producono in maniera ritardata e, in caso di assunzione di alti quantitativi di zuccheri, gli effetti potrebbero essere anche nefasti.

Il controllo glicemico è essenziale nei pazienti diabetici, questo però non vale per soggetti sani.

…eppure queste diete funzionano

Dieta Montignac, Dieta Dukan, sono solo alcune delle diete di grande successo che si basano sul controllo dell’indice glicemico, che associano l’aumento di peso all’innalzamento dell’insulina e non alle calorie assunte.

Partiamo con una precisazione: qualsiasi persona inizi una dieta (mediterranea, paleo, vegan, dell’indice glicemico e via dicendo) ne trarrebbe giovamento, soprattutto se in precedenza il regime alimentare adottato non era tra i più consigliabili.

Questa circostanza non può però essere attribuita a motivi di natura biochimica, anche perché molti di questi protocolli si basano su teorie completamente opposte.

Concentrandoci sulle diete a basso indice glicemico, queste funzionano perché indirettamente limitano l’assunzione di cibo, e quindi di calorie, specialmente di alimenti molto frequenti sulle nostre tavole, come pasta, pane, riso e dolci vari.                                            

Una lettura errata può indurre le persone a “demonizzare” determinati alimenti, rischiando conseguenze negative sotto il profilo sociale – sempre fondamentale in un regime alimentare sano – rifiutando inviti a cene e pranzi conviviali o feste di compleanno.

Per contro, c’è da dire che, pur in assenza di riscontri scientifici, ben vengano strategie che permettano di migliorare la qualità della vita di molti soggetti in termini di rapporto con il proprio peso, l’importante sarebbe avere un po’ di onestà intellettuale almeno tra professionisti.

Dolci e indice glicemico

I dolci vanno assunti con parsimonia, su questo non ci piove e nessun esperto in nutrizione direbbe il contrario. La ragione per cui non bisogna abusarne però non è da ricercare nell’indice glicemico, altrimenti basterebbe sostituire tutti gli zuccheri con il fruttosio (indice glicemico pari a 20) e potremmo mangiarne in abbondanza (del fruttosio ne parlai in un precedente articolo). La ragione è data dalla loro densità energetica che, soprattutto in alcuni dolci, facilmente raggiunge valori capaci di sopperire almeno ad 1/3 del fabbisogno calorico giornaliero.

Ad ogni buon conto, in una dieta equilibrata e varia una buona fetta di torta o un bel bignè ogni tanto non inficia minimamente sulla nostra linea e chi dice il contrario, mente.

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